Documento fondamentale

Da premettere che nel 1070 tutto il territorio di Luco e maggior parte del territorio di Trasacco, compresa Candelecchia, era di appartenenza dei Benedettini di S. Maria di Luco, come risulta da una donazione che qui vale la pena riportare nella traduzione di Cesidio Tarquini di S. Benedetto dei Marsi:

« Nell’anno 1070, addi 9 Novembre, io Berardo Conte dei Marsi, figlio del Conte Berardo, nella sede del monastero di Cassino, presenti Desiderio abate dello stesso monastero con ì suoi monaci, per la salute dell’anima mia e dei miei figli e Per la redenzione delle anime dei miei Munti, offro a S. Benedetto la Chiesa di S. Maria di Luco con il Castello che sta sopra il monastero, e con tutte le sue Pertinenze entro i confini che qui definiamo: dalla riva del Fucino sale Per il monte Pinna e si stende fino a Suinazzola; sale quindi al Monte Termine e si allarga fino alla serra di Longagna e da qui scende fino alla località detta Canale arrivando alla metà della Valle di Trasacco e da qui torna alle rive del Fucino.

Tutto ciò che si trova entro questi confini concedo in libera proprietà al convento di S. Benedetto ed ai suoi rettori e superiori in perpetuo, senza alcuna Possibile contraddizione mia e dei miei eredi o di altri Per Parte mia. Se io o i miei eredi cercheremo di mutare in qualsiasi modo questo atto di donazione e vorremmo sottrarci a quanto in esso è stabilito saremo soggetto ad una multa di 100 once d’oro. Questo atto di donazione Precisato in ogni suo particolare, che deve rimanere stabile in perpetuo, è stato scritto per mano del giudice Giovanni, notaio, controfirmto dai testimoni che sono stati presenti e lo approvano con le firme dei loro nomi. Segno di mano del Conte Berardo che ci chiese di redarlo di Ugo, detto anche Alberto di Giovanni nobile cittadino degli Abellini di Patricolo figlio di Rodolfo.
Io giudice Giovanni redassi e pubblicai ».

Gli immediati successori non rispettarono la donazione di qeud! Berardo rivendicando il possesso di tali beni, ma in seguito artisti furono ridistribuiti in parte ai Benedettini di Luco e in parte alla Chiesa di Trasacco (1).

Delle tre donazioni accennate in precedenza la terza riguarda il diritto di pesca nel Fucino e non rientra nell’argomento. La prima, di carattere più generale, è di questo tenore:
« Nel nome del Signore eterno, amen. Nell’anno 1098, nel mese di giugno, io Berardo Conte dei Marsi, insieme a mia madre Gemma, di nostra spontanea volontà per la redenzione delle anime nostre e quelle dei nostri parenti per oggi e in eterno doniamo e trasferiamo alla chiesa di S. Rufino e San Cesidio in Trasacco tutte le nostre terre e singole possessioni di questo circondario, i redditi annui e i debiti che chiunque ha verso di noi e di ognuno che tiene case, orti e tenimenti entro il circondario di Trasacco e di tutti quelli che tengono case e orti avuti dai nostri progenitori, con tutte le vie e piazze pubbliche del paese e con tutti gli edifici costruiti in qualsiasi località del paese di Trasacco.Dalla detta Chiesa nessuna località escludiamo fuorchè il palazzo e l’abitazione nostra presso la porta del paese attraverso la quale si sale nella nostra rocca e nella abitazione di Guffone Saraceni nostro milite e maestro di armi. Come sopra detto, tutte le nostre cessioni sono libere da ogni diritto ereditario e diamo in perpetua proprietà alla canonica della suddetta chiesa. Né altri fuor del solo clero della detta chiesa saranno riconosciuti possessori di detti tenimenti, case, nonchè dei diritti di concessione fatta dai donatori sulle predette possessioni. Noi e i nostri successori promettiamo di difendere tale concessione da ogni persona e in ogni tempo in perpetuo, come si precisa nell’atto presente. La nostra abitazione e quella del predetto nostro milite e maestro Guffone, riteniamo libere e franche dove sono situate.

Se noi e i nostri eredi promoviamo qualche lite in merito incorriamo nell’ira di Dio; se qualcuno nelle suddette concessioni osasse sottrarre o diminuire in qualsiasi modo qualsiasi cosa, non sia ritenuto tra i giusti, ma il suo nome sia cancellato dal libro della vita e come Giuda, Pilato e Caifa sia condannato all’inferno ed alla eterna scomunica e sia multato di 300 -libre d’oro a favore della detta Chiesa. A garanzia rimanga eterna la firma nostra al presente atto. Io conte Berardo e la mia madre Gemma, insieme al venerabile vescovo Andrea, con Taddeo prete, abate della predetta chiesa, Marino canonico, don Angelo prete, don Prospero Rìccardo prete, Jacopo De Carminis prete, Elia Pandolfo diacono, Stefano sacrestano, tutti della detta chiesa ed altri giudici nostri sottoscrittì; con Giuseppe Saraceni, signor Massaro della Rocca del Castello di Trasacco, signor Gentile di Alba, signor De Fortis, signor Giulio di Aiellì, signor Odorisio, signori Pandolfo di Celano nostro maestro e consigliere; di nostra volontà facciamo la presente dichiarazione e la celebriamo davanti all’altare di S. Cesidio. Tutti coloro che trasgredissero le presenti promesse siano condannati e scomunicati e da tutti respinti. FIAT, FIAT, AMEN!

Questo atto è stato scritto da me Filippo di Alba, notaro , insieme al conte Berardo ed alla contessa Gemma che lo hanno ordinato e disposto.

Firma del sopraddetto Conte Berardo e per garanzia da me invitati e conosciuti e intervenuti di Guffone, Massaro, Gentile, Enrico, Gisino, Pandolfo, Odorisio. lo Filippo notaro, invitato dal sopraddetto Conte Berardo e Contessa Gemma scrissi e redassi. Firma di Filippo ».

Più interessante al nostro scopo la seconda donazione, abbastanza dettagliata di cui riportiamo solo il testo in italiano:
Nel nome del Sommo ed Eterno Dio, nell’anno della Incarnazione del Signore 1120, Indizione XIII, nel primo anno del Signor Papa Callisto, undicesimo del Signor Berardo Vescovo Marsicano, Io Crescenzo Conte dei Marsi, figlio di Berardo Conte dei Marsi di buona memoria, pregato da Landolfo (Saraceni) figlio di Egidio e dai nostri sudditi; in onore e per amore di Dio e dei SS. Martiri Cesidio e Rufino, per la redenzione mia, e dei miei genitori e per l’anima di mio fratello Federico; della mia eredità e pertinenza della mia detta Contea, precisamente nella Terra dì Trasacco le abitazioni nel piano riservate al culto e in montagna uno spazio di terreno a sostentamento dei Chìerici della detta Chiesa di S. Cesidio in servizio divino: metà della Valle che è detta Formentino, con i castagni ivi esistenti e tutti gli altri alberi, dalla metà di detta Valle fino alla sommità, salendo per Monte Erboso fino alle Grotte chiamate CentoDozzi; discendendo per la Valle di CANDELE fino alla pianura e al di sopra. di nostra spontanea volontà per Darte nostra e dei nostri eredi in perpetuo confermiamo, rafforziamo, accettiamo e di nuovo concediamo e trasferiamo alla Dredetta Chiesa tutto il circondario del Castello di Trasacco con le servitù con esso confinanti. i redditi da riscuotere e gli affitti delle case, degli orti, dei tenimenti e dei del quadro della Madonna con delle candele accese.

Più inverosimile la derivazione dalla sola acqua della fonte; infatti dal latino: candida aqua dovrebbe uscir fuori la parola: CANDIDACCHIA o CANDIDECCHIA, ma noi abbiamo la parola: CANDELECCHIA (2). Insomma, tutto fa pensare che il nome si riallacci alla tradizione e che l’origine del Santuario si perdi nel tempo prima del mille (3). Da Don Nicola Ansini, parroco di Luco, ci è stata suggerita un’altra origine che però, a nostro parere, puzza di campanilismo. Secondo D. Nicola, il nome Candelecchia deriverebbe dalla voce dialettale: CANELECCHIA e sarebbe un diminutivo di Canale, località opposta a quella in considerazione. I trasaccani, nella causa di Stato contro il Comune di Luco, avrebbero coniato questo nome per dimostrare il millenario possesso della località, invece di quella del vero Canale.

E’ facile respingere questa tesi che cozza contro la Tradizione, la Storia, la Documentazione, la Toponomastica… La catena dei monti è intersecata da una valle di notevole lunghezza, che iniziando da Sud-Est, ha sopra di se vastissimi monti i quali dividono i Marsi dai Volsci sopra la Valle di Collelongo dall’angusto inizio dell’Aceretta. Ma allorquando discende si amplia in uguale misura prendendo una lunga forma quasi triangolare, specialmente se si guarda dal lato maggiore della base che da Trasacco arriva alla Valle di Candelecchia».

E a pag. 155 così leggiamo:

« In proximo monte ad 11 M. P. alterum ciusdem Sanctissimae Virginis de Candelicchia dictae, in solitaria Eremo gelidis latícibus, et agrestibus pomorum fructibus, delectabili diuturnitate et frequentia notum ».

« In un vicino monte, a 11 mila piedi di distanza (mt. 3256), esiste un’altra chiesa dedicata alla stessa Santissima Vergine detta di Candelecchia in un Eremo solitario, assai noto e per le gelide sorgenti e per gli agresti frutti di agrumi e per il dilettevole soggiorno e la frequenza». Il cuore del Santuario è naturalmente la pittura che riproduce la Madonna col Bambino. Riportiamo le impressioni con le abbiamo espresse nel libro:
“Trasacco e i suoi tesori” :
« Come oggi si ammira, poco c’è da vedere del romano, del bizantino o del romanico, sebbene non manchino elementi dei tre periodi: appare romano lo sfondo, creato dalla nicchia profonda, decorata da una cornice che sviluppa il volume coi suo prolungamento esterno alla nicchia stessa; appaiono bizantini gli occhi a mandorla della Madonna; appare romanico il Bambino nel suo movimentato tentativo di aggrapparsi alla Madre nello stesso tempo di voler guardare quelli a cui la Madre lo vuole mostrare; ma nell’insieme la rappresentazione è tutta un incanto di alta religiosità popolare come popolare è il grande velo del capo, come popolari sono il giubbetto e la lunga veste che ricordiamo nelle nostre nonne. Qual’è il motivo ispiratore di questa incantevole pittura che più si guarda e più si rimane incantati, sprofondati nel mistero che vuole esprimere? Il punto di partenza è quel libro che la Madonna tiene aperto sulle ginocchia, libro dove certamente non avrà più letto la profezia della sua glorificazione ormai avverata nel dare alla luce Gesù, ma quella della Passione e della Morte del Bambino, dei dolori che ancora devono venire, preannunciati da Isaia, confermati da Simeone.

Quella pagina dà il tono a tutta la pittura in una gentile e insieme drammatica interpretazione psicologica degna dei più grandi Maestri. Del resto se l’opera viene annoverata tra quelle che vanno sotto il nome di « S. Luca » forse è perchè questo Evangelista, essendo stato medico, meglio degli altri tre ha potuto comprendere il dramma derivante dal conflitto tra la carne e lo spirito, tra l’affetto materno e la rinuncia per una causa superiore. Si rifletta sul viso della Madonna tutto soffuso di infinita mestizia al pensiero di tristi futuri eventi; distoglie lo sguardo da quel libro fatidico che ricade sulle ginocchia in un atteggiamento di profonda spossatezza spirituale, mentre gli occhi smarriti guardano all’infinito; ma nello stesso tempo quanta dolcezza, quanta rassegnazione emana il suo volto pacato tondo non stirato, non scarnito dal dolore!

E le dita della mano sinistra, appena si mostrano e arrivano a sfiorare il Bambino nel duplice tentativo di stringere al petto la creatura e nello stesso tempo di offrirla alla umanità come vittima per i peccati. Si rifletta ugualmente all’atteggiamento del Bambino: mentre con la manina destra si aggrappa al seno materno, ripiega il piedino sinistro su di esso in cerca di protezione, ma il piedino destro è già pronto allo scatto in una attuale rinnovazione del grido: ECCE EGO, MITTE ME. Penso sia difficile trovare un’altra pittura dove il FIAT della Madre e del Figlio sia interpretato con tanta drammaticità e semplicità insieme. Quando è stata eseguita la pittura? Come noi l’ammiriamo, è opera originale o è stata ritoccata attraverso i secoli? Sono interrogativi che vanno giustamente fatti, data l’importanza eccezionale dell’opera.

Certo, a giudicarla dalle linee attuali, è difficile riportarla al secolo X; tuttavia nessun motivo vieta di riportarla a questo secolo e ammettere nello stesso tempo che essa sia stata ritoccata da artisti posteriori. Anche il Mezzadri si esprime in tal senso: « Il più pregevole della Chiesa suddetta di S. M. di Candelecchia è l’adorabile immagine della Beatissima Vergine dipinta sopra una tavola di noce, rappresentante sostenere tra le braccia l’Unigenìto e Amatissimo Figlio suo Gesù Redentore. E perchè la maniera, il disegno e il panneggiamento di essa è alla foggia e antica costumanza di dipingere, da alcuni si crede di essere pittura di San Luca; che sia vero o no, si lascia giudicarlo da persone di saggio discernimento ».

Note
(1) Un motivo per credere che all’epoca la Basilica era retta dai Benedettini. Cfr. Trasacco e i suoi tesori », pag. 63.

(2) A proposito di questa acqua, così si esprime il Corsignani in « Regia Marsicana », vol. 1, pag. 421: « Salutiamo nel frondoso monte di Candelecchia di là dal convento dei Cappuccini la devota chiesina della Beatissima Vergine Maria al certo miracolosa, e ornata di varie indulgenze a beneficio dei fedeli suoi devoti; cosicché dal concorso delle Genti vicine ed anche rimote in particolare nel terzo giorno dopo la Pasqua di Resurrezione, con varie processioni, ognuno potrà saggiamente il pregio di Lei e del Tempio argomentare. Cresce la delizia del sito per lo salutevole fonte che vi sorge di acqua più delle altre e squisita come da scaturigine minerale e perciò usata per l’ordinario da quei Fisici in luogo di quella che tanto si celebra in Nocera dell’Umbria, assai facile ad insinuarsi e a tramandarsi come insieme insieme diuretica e diaforetica ». (Anno 1738).

(3) Basta riflettere che già il Febonio a pag. 59 della sua opera (1678), descrivendo i confini della Marsica, così scrive:
« Mons intersecatur valle protensa longitudine, quae ab ortu solis hiberni initium sumens, supra se montes habet vastissimos, qui Marsos a Volscis dividunt supra Vallem Collis Longi ab Aciretta angusto principio; sed cum descendit aequali ampliatur tractu triangularem prope oblongam formam retinens, si a priori angulo ad basim spectetur, quae a Transaquis ad Vallem de candelicchia ducitur ».

(Testi tratti dal libro “Trasacco e Candelecchia”)
(Testi a cura di Don Evaristo Evangelini)

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