Don Giuseppe Cuciz

ll Parroco fu perseguitato ed amato: ”
Calpestato in vita ed in morte »

Una delle caratteristiche della nostra gente è l’accurata cancellazione di ogni memoria storica.
Un tempo ricorreva spesso il detto: « La storia è maestra di vita » e si ricordava l’ammonimento foscoliano: « O italiani, io vi esorto alle istorie ». Queste cose non godono più del diritto di cittadinanza in una collettività troppo attenta al presente per trovare il tempo e la voglia di dare una occhiata al passato. Sintomo, questo, non già di modernità, dal momento che ho conosciuto società molto più avanzate della nostra nelle quali è d’uso confrontarsi spesso con « li maggiori sui » per trarne riflessioni ed ammaestramenti. Diciamo dunque che i nostri compaesani sono affetti da una strana malattia che io chiamerei « torcicollo temporale », noiosa patologia che impedisce loro di volgere il capo all’indietro, vietando la conoscenza del passato ed il suo raccordo col presente.
Ogni generazione è cosi comparabile ad un neonato che conosce solo gli imperiosi stimoli dei suoi fabbisogni personali, da appagare a qualsiasi costo, con l’istinto che esclude ogni altro essere vivente, familiare od estraneo. Questa premessa vuole introdurre ed inquadrare alcune brevi note sulla vita e sull’opera di un grande personaggio, mai ricordato dai trasacani (come singoli e come istituzioni), se si eccettui un prezioso libretto del bravo don Evaristo Angelini, libretto che peraltro ha avuto pochissimi lettori e nessun esegeta: « Don Giuseppe Cuciz abate di Trasacco 1918 1944 ».

Eppure don Giuseppe visse ed operò per ben 26 anni nella nostra comunità, in tempi di quieta e raccolta vita contadina, quando l’esistenza si svolgeva in ritmi lenti, senza clamore, quando ogni giorno era diverso dagli altri, quando i trasaccani erano un insieme di persone ben radicate nella propria cultura e nella propria tradizione. « Alto, solenne, vestito di nero », don Giuseppe si aggirava per le strade del paese col suo lento passo di contadino, dondolando quella sua testa canuta e mal pettinata di vecchio contadino, col suo tricorno che contribuiva ad accrescere l’aspetto sacrale.

Ricordo le sue brevi, reiterate esclamazioni di compiacimento e di saluto mentre accarezzava il capo dei bambini che gli correvano incontro gridando: Sia lodato Gesù Cristo. Ricordo le sue lezioni di catechismo ai comunicandi, intessute di parabole e di affascinanti volgarizzazioni storiche.
Quando per la prima volta, al Ginnasio, udii la frase « sinite parvulos venire ad me », il mio pensiero corse con struggimento a don Giuseppe.
Quel prete di Nimis, in provincia di Udine, era uno scrigno inesauribile di sapere classico (in prosa ed in poesia) come se lo facesse nel suo bel dialetto « furlan ».
E il suo sapere lo profondeva con generosità, al servizio della sua chiesa e del suo gregge, Vivere secondo le norme evangeliche era per lui pratica normale. Nel suo rigore morale era duro come il suo corpo legnoso; nel comprendere, nell’assistere, nel consolare era tenero come poteva esserlo un umanista friulano che l’uragano della guerra aveva trascinato esule per mezza Italia.

Da lui irradiavano in modo esemplare il disinteresse, la povertà personale, la carità, l’assistenza ai malati ed agli infelici, l’educazione dei giovani, il perdono perle offese ricevute, tutti i valori evangelici attributi di pochi. Riuscì a dotare la chiesa di Trasacco di una casa canonica, acquistata grazie a forti economie anche personali (ma parlare di « personale » nel caso di don Giuseppe è una contraddizione).
Era una splendida palazzina situata nel centro del paese, e che purtroppo i suoi successori, troppo intenti a perseguire interessi personali e politici, hanno 1asciato degradare, al punto che oggi costerebbe di più restaurarla che costruirla ex novo.

La casa canonica

Fu proprio l’acquisto della casa canonica il punto di partenza che portà a quella vergognosa sommossa che potrebbe definirsi « dei Vespri trasaccani ». Disponendo di una casa grande e comoda, don Giuseppe, sempre di salute malferma, poté finalmente ottenere l’aîuto temporaneo di un vicario che alleviasse per qualche tempo i suoi gravosi compiti pastorali. Richiese un prete friulano, don Aurelio Micossi, che gli fu rifiutato per l’opposizione dell’arcivescovo di Udine.
Gli fu mandato invece una specie di avventuriero in tonaca, don Turibio Tomat, udinese.
Questi avrebbe dovuto restare a Trasacco qualche mese, il tempo per permettere a don Giuseppe di riacquistare un pò di salute e di forze. Ma accadde che il detto don Turibio, giovanotto « estroverso, dalle manie istrioniche, trascinatore indiscusso ammaliatore … di donne riuscì far leva sul carattere dei trasaccani sempre pronti ad alternare gli osanna ai crucifige, salvo rovesciarli dopo breve tempo.
L’« essere » di don Giuseppe,’ sacerdote serio, schivo, colto ed amante delle realizzazioni fatte in silenzio ed in umiltà, cozzava troppo con il « sembrare » di quel pretino che dissimulava la sua ambizîone dietro il velo e l’aspetto di amicone, di « caciarone », di dissacratore di tabù.
I trasaccani ne furono sedotti, Letteralmente, al punto che quando arrivò il momento della partenza del vicario (partenza, si badi bene, che lo stesso abate aveva cercato, contro il parere del vescovo Mons. Bagnoli, di far ritardare), si verificò una vera e propria sommossa popolare che mise in pericolo la stessa incolumit6 di don Giuseppe. Prima del Vespro della Festa di Pasqua, la popolazione, guidata da un folto gruppo di femmine urlanti e scarmigliate, diede l’assalto alla chiesa per far « giustizia » contro don Giuseppe.
La forza pubblica e pochi cittadini con la testa a posto durarono gran fatica per impedire che si consumasse già nel 1937 ciò che avvenne nel 1945, quando la brava popolazione di Trasacco fece a pezzi ed impicco in piazza una povera ragazza innocente passata alla storia (ma poco ricordata) come Maria la Nera.

È impressionante come quel grande sacerdote che Trasacco ebbe l’immeritato privilegio di ospitare per 26 anni, riferisce certi avvenimenti a pag. 82 del Libro Storico della Chiesa di Trasacco. Tutto è raccontato con serenità e con distacco. Egli, « sotto l’usbergo del sentirsi puro, come lo era, continuò la missione del suo ministero ».
Dopo 6 mesi il beniamino dei trasaccani, colui che don Giuseppe continuava a definire, nonostante tutto, il reverendo Tomat, veniva cacciato da Gioia dei Marsi dove era delegato veseovile, e gli fu vietato di celebrare nel territorio della diocesi.
Don Giuseppe Cuciz non ebbe la consolazione di finire i suoi giorni nella sua adorata terra, come aveva sempre sperato, stilando già nel 1929 l’epitaffio per la sua tomba. Mori a Trasacco durante il terribile inverno 1943-1944. Prima di trovare ospitalità nella cappella della famiglia di Elio Angelini, fu sepolto nella nuda terra, sotto una grossa e rozza croce.
Si realizzò, cosi, il suo auspicio di perfetto cristiano: « Come i trasaccani mi hanno calpestato in vita cosi devono calpestarmi dopo la mia morte. »

Dante Areta, E. Angelini, Don Giuseppe Cuciz

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