STORIA

Sintesi storica
Testi di Tito Lucarelli
Trasacco deriva dal latino “transaquas”, al di là delle acque. Al di là delle acque rispetto alla sponda nord dell’ex lago del Fucino, per chi proveniva da Roma attraverso la Tiburtina Valeria e che per raggiungere Transaquas poteva farlo con maggiore facilità per via lacuale che non attraverso altre vie di comunicazione.
Tale denominazione ha fatto la sua comparsa con molta probabilità a metà del I sec. d.C.
Prima di allora, infatti, l’agglomerato urbano esistente sulla riva sud del lago era denominato “Supinum” o “Supna”, come i ritrovamenti epigrafici hanno rilevato. Il suo significato è quello di leggero pendio, in posizione supina, proprio come si presenta la valle “transaquana”, che si estende in leggero pendio verso Collelongo.
Circa nel 200 a.C. risulta da un’epigrafe, ritrovata in zona e riportata dal Mommsen, che Supino era amministrata da due Questori. Costoro erano magistrati ausiliari dei pretori e dei consoli ed avevano il compito di riscuotere le tasse per l’erario pubblico, oltre che avere il comando dell’esercito. Ciò fa supporre che in Supino vi fosse una buona organizzazione militare, politica e amministrativa. “L’eroica Supna – afferma Evaristo Angelini – Trasacco nell’impero romano, 60 – vantò una supremazia religiosa e amministrativa di fronte al resto dei Marsi: solo in esso troviamo nominati … due questori (Salvio Magio figlio di Staiedio e Pacio Anaiedio figlio di Quinto); solo nel suo territorio sono state rinvenute le più antiche testimonianze epigrafiche sul culto ad Ercole, ad Apollo, al Fucino. I due elementi messi insieme ci convincono che la valle transaquana, di cui Supna era per così dire la capitale, si prestò, meglio che gli altri territori della Marsica, alla formazione di una civiltà autonoma”.
Sempre da ritrovamenti epigrafici, di cui parla Corsignani, Mezzadri e Mommsen, sappiamo che all’inizio del II sec. d.C. in Supinum fosse presente un anfiteatro. Anche questo ritrovamento avvalora ancora di più quanto Evaristo Angelini afferma nel corsivo su riportato. 
È da supporre anche che il popolo “supinate” abbia seguito le orme di tutto il popolo marso, sia nell’arruolamento nelle schiere dell’esercito romano, nel quale si era distinto per la sua tenacia e combattività tanto da far pronunciare ai romani “nec sine marsos, nec contra marsos”, sia successivamente nel rivoltarsi contro di esso in occasione della c.d. “guerra sociale” che i popoli italici, tra il 91 e 88 a.C., combatterono contro Roma per ottenere il riconoscimento della cittadinanza romana.

Al nome di Supinum, in occasione dei lavori di prosciugamento del lago del Fucino (40-52 d.C.) ad opera dell’imperatore Claudio Nerone (da non confondere con il Nerone che incendiò Roma e del quale Claudio era il patrigno), probabilmente si è affiancato quello di Transaquas. Le due denominazioni hanno convissuto per diversi secoli, tant’è che ancora nel sec. XI le ritroviamo appaiate in un atto di vendita redatto a Montecassino nel 1007, nel quale si riporta “Ego … Dodo sum abitator in territorio marsicano in Transaque in ipsa cibitate Supino marsicano territorio…” – “Io … Dodo abitante in territorio marsicano a Trasacco, propriamente nella città di Supino territorio marsicano…” (Evaristo Angelini – Trasacco nell’impero romano, 90)

Durante i lavori del prosciugamento del lago, l’imperatore Claudio eresse in Transaquas il suo palazzo imperiale, nel quale furono probabilmente ospitati, oltre che sua moglie Agrippina, anche i personaggi più noti del mondo romano del momento, soprattutto in occasione della naumachia che fu organizzata per festeggiare l’apertura della galleria costruita per prosciugare il lago. 
La naumachia era uno spettacolo consistente in battaglie navali delle quali i romani erano particolarmente ghiotti; venivano organizzate in qualsiasi specchio d’acqua che le permettesse. Lo specchio del lago del Fucino, quindi, fu un’occasione d’oro per questo spettacolo. 
Dopo i lavori di prosciugamento, gli abitanti di Transaquas, nel frattempo convertitisi al Cristianesimo, che ormai a pochissimi anni dalla morte di Gesù si stava divulgando ovunque, insieme, è da supporre, a diversi uomini impiegati nei suddetti lavori (Svetonio e Tacito ci tramandano che ne furono impiegati più di trentamila) e che al termine di questi scelsero di restare sul posto, dei quali sicuramente molti avevano abbracciato la nuova religione, decisero di innalzare a luogo di culto della cristianità le vestigia dell’ormai abbandonato palazzo imperiale.

All’interno dei ruderi di quel palazzo professarono la loro fede, facendo divenire Transaquas sicuramente il centro del cristianesimo della regione marsa. Quindi mentre Marruvium, l’attuale S. Benedetto dei Marsi, costituiva il centro economico e politico della regione, Transaquas costituiva il maggiore agglomerato cristiano.
La scelta di Transaquas da parte dei cristiani, probabilmente fu dettata dal fatto che, proprio perché lontani dalla principale via di comunicazione con Roma, la Tiburtina Valeria, essi si sentivano in qualche modo protetti. Infatti, occorreva attraversare il lago per raggiungerli. Alle spalle, invece, si sentivano protetti dalla catena dei monti che separa la zona marsicana dalle Valle Roveto. Era un posto ideale, dunque, per professare la fede cristiana per la quale molti, soprattutto a Roma, venivano giustiziati. 
Evidentemente la loro concentrazione in Transaquas divenne così importante da superare i confini della regione Valeria ed arrivare fino a Roma, dove suscitò così tanta preoccupazione da giustificare un atto di repressione. Infatti nel 237 d.C. i soldati romani dell’imperatore Massimino il Trace (235/238) fecero irruzione nel covo dei cristiani di Transaquas trucidandoli e ammazzandone il capo spirituale, Cesidio.

Tra il IV e V secolo d.C. si verificarono incursioni di barbari. Si narra che durante une delle suddette incursioni gli abitanti di Trasacco, rifugiatisi sul monte Carbonaro, durante la notte, per scoraggiare gli aggressori, avessero acceso moltissimi fuochi sì che da lontano potesse apparire che si trattasse di un vero e proprio accampamento, composto da molti uomini. L’idea pare ebbe successo. Infatti i barbari, ingannati dal quel gran numero di fuochi, credettero davvero di trovarsi di fronte un nutrito stanziamento di uomini e desistettero dal loro proposito di aggressione. 
Va inoltre specificato, che al di là della pur possibile parte fantasiosa di questo racconto, in esso vi è un riferimento topografico sul quale vale la pena soffermarsi, ossia quello del monte Carbonaro. Ebbene questo monte lo ritroviamo riportato su di una mappa geografica risalente al IV sec. d.C., che rappresenta l’impero romano del momento. È la c.d. “tabula peutingeriana”, dallo scopritore Konrand Peutinger (1465-1547). È una pergamena lunga 6 m. e larga 34 cm., sulla quale viene riportata l’indicazione anche del “monte Carbonario”, proprio lì dove dovrebbe essere Transaquas” e vicino a “Marruvium”, anche questo riportato sulla mappa. Ciò che è curioso, è che non vi sono riportati altri monti oggi molto più importanti, come il Velino, il Sirente ed altri ancora. 
Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che in quel periodo il monte Carbonaro avesse notevole importanza nel mondo romano per essere il luogo da cui si ricavava carbone (da cui monte Carbonaro) che veniva esportato a Roma (Quirino Lucarelli – Biabbà, 332 vol. II), anche se per la verità di questa tesi non si trova traccia alcuna in altre fonti.

Nel IX sec. la “chronica di Casamari” attesta la presenza di una chiesa dedicata a San Rufino proprio in quella località che oggi è individuata con lo stesso nome del santo, situata tra Trasacco e Ortucchio. Detta chiesa era di pertinenza dei Benedettini di Casamari. La stessa, nei secoli successivi, fu data in gestione alla chiesa di Trasacco dietro versamento di un canone. 

Nel 937 d. C. , un orda di barbari, gli Ungari, assalì, depredò e incendiò Transaquas, distruggendone anche la chiesa, allora già dedicata a San Cesidio e Rufino. 
Il popolo ungaro proveniva dal sud-est asiatico e si era stanziato nell’Europa centrale, da dove compiva numerose razzie e scorribande sul territorio italiano per ritornare nelle sue terre carico di bottino. 
Racconta la “chronica cassiniense”, redatta dal cardinale Ostiense, che quell’anno, dopo avere razziato e distrutto Cassino, i barbari giunsero con le loro scorribande a Transaquas, distruggendola, razziandola e, dopo essersi impossessati del tesoro della Chiesa e di altri oggetti preziosi della gente, proseguirono il loro percorso. La “chronica” narra, ancora, che il popolo trasaccano, colto di sorpresa e non avendo potuto difendersi dall’aggressione, subito dopo organizzò un gruppo di uomini che inseguì gli Ungari raggiungendoli nei pressi del passo di Forca Caruso, dove erano accampati. Con azione improvvisa e fulminea il gruppo assalì i barbari e recuperò il bottino che costoro avevano sottratto ai trasaccani. 
Con la distruzione della chiesa ad opera degli Ungari si presume siano andati bruciati anche i numerosi codici manoscritti che negli anni vi si erano depositati, fra questi l’originaria agiografia dei santi Cesidio e Rufino, risalente al IV/V sec. d.C., e della quale, a detta degli studiosi, quella depositata in Pistoia è una copia autentica. Quest’ultimo aspetto è molto importante in virtù del fatto che l’agiografia dei santi suddetti, dopo quell’incendio, fu completamente riscritta, ma sulla base della memoria e con molta più enfasi. Trattasi delle agiografie oggi depositate in Trasacco e Assisi.

Dopo questa scorreria, Transaquas probabilmente stentava a risorgere dalla distruzione subita. A risollevare le sorti intervennero i conti di Celano, della famiglia dei Berardi. Costoro, infatti, con una serie continua di donativi fatti ai santi Cesidio e Rufino dettero la possibilità di poter ricostruire la chiesa, la quale accrebbe di molto le sue entrate, tanto da acquisire probabilmente un alto grado di importanza sì da essere sottratta alla irresistibile ascesa dei monasteri, che erano soliti inglobare fra i loro possedimenti, per mezzo di donativi che venivano loro concessi dai nobili, numerose chiese sparse lungo il centro Italia.
Il primo dei suddetti donativi fu elargito dal Conte Berardo, nel 1096, al quale seguì quello del Conte Crescenzo, nel 1120, poi quello del Conte Ruggero, di cui non si conosce la data con certezza ma del quale si parla in altri donativi, poi, nel 1198, quello del Conte Pietro. Infine quello del Conte Tommaso, nel 1213. Gli atti di tali donativi riconoscevano alla chiesa il possesso di parti dei monti circostanti Trasacco, diritti sulle acque del lago, come quello sulla pesca, e altri ancora.

A proposito dei suddetti donativi va detto che, quello fatto dal Conte Crescenzo nel 1120 alla chiesa di Trasacco, ed un altro che i Conti di Celano avevano fatto nel 1070 a favore del Monastero dei Benedettini, con il quale donavano al suddetto Monastero la chiesa di Santa Maria di Luco dei Marsi e parte della montagna circostante, poiché non stabilivano con certezza l’ubicazione dei confini che li delimitavano, essi sono stati alla base della disputa, giudiziaria e non, che per circa otto secoli ha visto contrapporsi la comunità di Luco dei Marsi a quella di Trasacco e che nel 1922, il 5 di ottobre, è sfociata nella c.d. “guerra di Candelecchia” tenutasi tra i due paesi. La querelle si è risolta solo negli anni 1970.

Nel 975 dalla “chronica farfense” risulta che nella torre di Transaquas si amministrava la giustizia (“… cum autem resideret quondam tempore in territorio marsicano in villa Transaquas, in ipsa turre Olderisius comes filius Rainaldi comitis pro iustitia facienda cum judicibus et bonis hominibus” ……“risiedendo per un certo tempo nel territorio marsicano in Trasacco, il Conte Olderisio figlio del Conte Rainaldo nella stessa torre amministrava la giustizia insieme a Giudici e uomini onesti …”) (Evaristo Angelini – Trasacco e i suoi tesori, 31). 
L’attestazione non dice di più, per cui non è dato sapere se nella torre avesse sede un tribunale dove si svolgessero regolari processi” (Quirino Lucarelli – Biabbà, 29 vol.I).

Nel 1187, Guglielmo II si accingeva a preparare una seconda crociata in Terra Santa. Per reclutare l’esercito impose a tutti i suoi feudi dell’Italia meridionale di mettere a disposizione un certo numero di soldati. A tale scopo fece compilare il Catalogo dei Baroni, da cui risultava di quanti feudi si componeva la Contea di Celano e di Albe. L’agro di Trasacco con quello di Luco dei Marsi costituiva un feudo … il suddetto feudo doveva contribuire per sei soldati. Tenendo conto di questo dato, si presume che in quell’anno Trasacco e Luco contassero circa ottocento abitanti. E ciò in base al fatto che il Catalogo stabiliva che occorreva armare un soldato ogni 24 famiglie, stimando una famiglia tipo formata da 5 persone. 
Il Catalogo dei Baroni è il documento più antico di cui disponiamo in cui compare per la prima volta una forma modernizzata del termine “Trasacco”. Infatti su di esso si legge “Tresacco
” (Quirino Lucarelli – Biabbà, 33-34 vol.I).
Prima di tale data l’evoluzione nel tempo del nome Transaquas aveva assunto diversi aspetti terminologici come “Trasaque”, “Transaquae”, “Trasaquas”, “Trasaquis”.

Nel 1441 (l’anno in cui le due contee di Celano e Tagliacozzo furono temporaneamente unite sotto gli Orsini) Trasacco subì un altro assalto e un’altra devastazione, questa volta per opera delle truppe del legato pontificio cardinal Giovanni (Antonio Orsini) da Tagliacozzo, assalto che provocó l’incendio e la distruzione di molte case, compreso l’archivio parrocchiale. 
Dopo alcune usurpazioni da parte dei feudatari di Albe, nel 1457 l’abazia di S.Cesidio, per ordine del re, ottenne la restituzione di beni e privilegi, e fu lo stesso governatore di Albe e Tagliacozzo ad eseguire l’ordine del sovrano.
Nel 1518 Trasacco venne venduta da Fabrizio Colonna al figlio naturale di Ferdinando I d’Aragona; e nel 1529 quasi sicuramente passò sotto la giurisdizione dei conti di Celano. Tra il Cinquecento e il Seicento sorsero numerose controversie con Luco per il possesso delle montagne circostanti … …Verso la fine del XVII secolo, Trasacco risultava nuovamente soggetta a Tagliacozzo, sotto la cui giurisdizione rimase fino all’abolizione dei feudi
.” (Angelo Melchiorre)

Il 25 aprile del 1592 Trasacco venne assalito dalla banda di Marco di Sciarra. Una testimonianza scritta risalente al 1610 narra che quel giorno il suddetto bandito cercò di assalire e depredare Trasacco, senza però riuscirvi per la tenace resistenza opposta dai trasaccani agli ordini del “capitanio Baronio” (probabilmente l’assalto non riuscì anche perché Trasacco era protetto da mura che circondavano l’abitato. Infatti esso aveva la forma di città castello con tre porte di ingresso). I banditi non potendo assalire Trasacco, ripiegarono su Collelongo e su Gioia dei Marsi, dove portarono razzie e distruzioni. Qualche giorno dopo fu visto un monaco di Cese, che faceva parte dei masnadieri di Marco di Sciarra e del quale era stata ben notata la presenza, che scendeva da monte Labbrone per fare ritorno al suo paese con appresso un somaro carico di oggetti frutto di razzie. Fu riconosciuto dai Trasaccani, arrestato e imprigionato. La popolazione lo voleva punire con la pena di morte, ma poi si decise di lasciarlo in vita; e dopo averlo tenuto per qualche giorno prigioniero, fu lasciato libero, non prima però di avergli sequestrato tutto il carico che portava con sé e avere restituito questo ai legittimi proprietari dei paesi dove esso era stato sottratto con la violenza.

Nel 1656 un’epidemia di peste causa la morte di oltre la metà della popolazione di Trasacco. Infatti dai resoconti dell’epoca risultano deceduti per tale malattia 358 persone su 600 abitanti. Il tutto in due mesi. Alcune tra le famiglie superstiti (circa 70) si impossessano dei terreni rimasti senza proprietario per effetto della suddetta moria di persone. 
Tuttavia la peste non è l’unico male che affligge Trasacco. Infatti altre malattie epidemiche fanno vittime tra i suoi abitanti, come la malaria, il colera, così come le carestie. Nel 1802 per una epidemia di vaiolo muoiono 30 persone quasi tutti bambini. Nel 1810 per il morbillo muoiono 24 bambini. Nel 1821 il vaiolo provoca la morte di 35 persone. 

Nel 1710 le cronache narrano una suggestiva processione sul lago che i trasaccani fecero per recarsi a Luco dei Marsi per prelevare in quel paese il beato Antonio Baldinucci che stava compiendo un percorso con cui portava in vari centri d’Italia l’icona della Vergine Maria attraverso la c.d. “Peregrinatio Mariae”. Ebbene, in quell’occasione i Trasaccani, descrive lo stesso Baldinucci, “attivi e intraprendenti”, allestirono una processione sul lago che da Trasacco si recò a Luco per prelevare l’icona della Madonna e i suoi accompagnatori. Il corteo del ritorno era composto da oltre 40 barche a remi. “La più grande e la più bella era per la Divina Visitatrice”. Su di essa era impiantato “un ricco baldacchino di damasco, con trine, con fregi e con preziosi ornamenti, sorretto da quattro alte colonne di legno, le quali confluivano nella sommità per fare da supporto ad un lucido vaso di ottone, dal quale emergeva un bel fascio di fiori e sventolava una bandiera bianca e rossa. … Uno stuolo di … paggetti, disposti tutti intorno (alla barca), facevano guardia d’onore al quadro della Vergine. … c’era sulla barca … due robusti uomini con i loro vestiti di pescatori, ritti, ognuno davanti al proprio remo. …. Davanti alla barca maestra i trasacchesi ne avevano schierata un’altra, la quale, sulle acque placide del lago, apriva il corteo professionale. … (su di essa) sedeva … il missionario … ai bordi … sei rematori, tre per lato, vestiti in abito rosso alla levantina”. Su di un’altra barca era situato “un poderoso complesso musicale. … Dietro, al lato destro … una interminabile e doppia fila di barche per gli uomini, e parimenti un’altra al lato sinistro per le donne….un velocissimo palischermo era pronto per vogare innanzi e indietro, lungo i filari delle barche, perché fosse mantenuto l’ordine della navigazione … dalle barche ormai in movimento risuonava una vibrante musica scandita dal complesso bandistico. … mentre il solenne corteo processionale cantando e pregando… navigava ordinato sulle acque tranquille del Lago, controllato dal palischermo che vogava su e giù per i filari delle barche …. da altre barche, dislocate lungo il percorso, venivano lanciati petardi, girandole policrome e centinaia di botti a salve, inneggianti alla Divina Visitatrice …Lo spettacolo era, quanto nuovo, altrettanto commovente!” (Societas – rivista bimestrale dei Gesuiti d’Italia meridionale – Napoli 2001)

Con il prosciugamento del lago del Fucino da parte del Principe Alessandro Torlonia (i lavori iniziarono nel 1854 e terminarono con il completo svuotamento del lago nel 1865), Trasacco subì, come tutti i paesi rivieraschi, un notevole impulso demografico, ma con un quasi inesistente sviluppo economico . Infatti dai primi del 1900 molte persone furono costrette ad emigrare nelle americhe, in Australia e in altri paesi europei in cerca di una vita migliore. Tale fenomeno è durato in modo accentuato fino agli anni 1970. 
Nonostante la presenza dei fertilissimi terreni del Fucino, le condizioni di vita, dunque, non erano delle migliori. Torlonia, invece, dal suo feudo (così di fatto veniva considerato il suo possesso delle terre emerse dal lago prosciugato) ricavava enormi ricchezze.
Ad aggravare il tutto aveva contribuito sia il violento terremoto del 13 gennaio del 1915, che a Trasacco ha provocato 26 morti e 117 feriti, sia le due guerre mondiali, che avevano tolto forti braccia valide all’agricoltura, la quale, anche se in modo precario, reggeva le sorti del paese.
Il periodo del dopo guerra fino al 1952 è stato caratterizzato da numerose proteste contadine contro Torlonia, fra queste la più dura è stato il c.d. “sciopero a rovescio”. Esse hanno portato all’esproprio del Fucino ed alla distribuzione delle terre agli agricoltori. 
Oggi l’economia di Trasacco è basata sull’agricoltura, in particolare sulla coltivazione di ortaggi. Essa ha raggiunto un alto livello produttivo e tecnologico. Sviluppata è anche l’occupazione operaia e impiegatizia. Limitata è l’iniziativa imprenditoriale, se non a livello familiare, orientata prettamente alla lavorazione e commercializzazione degli ortaggi
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